Arte Laguna (2008)
Ci si potrebbe chiedere se, al giorno d’oggi, abbiano ancora un senso i concorsi dedicati alla fotografia. Domanda più che lecita, e le risposte potrebbero essere molteplici, a seconda della mission e della struttura peculiare che informa il singolo premio.
Ogni critico che lavori con la fotografia contemporanea certamente ha una propria visione ben delineata, anche se aperta a nuove contaminazioni. Nonostante si viva in un’epoca post-Marshall McLuhan e le fonti del ricognitore d’arte siano notevolmente aumentate rispetto ad alcuni decenni fa (pensiamo alle enormi possibilità massmediatiche legate in particolare ad internet), i premi rimangono ancora un grande mezzo per ampliare il dibattito culturale. In particolare, operando con il premio Artelaguna, ho avuto modo di riflettere su autori che provengono da circa sessanta paesi del mondo, avendo così una panoramica indicativa della creatività di una buona porzione della terra. Il contatto con modi diversi di concepire l’espressione fotografica, portatori di un background culturale molto variegato, mi ha indotto a numerose meditazioni. Al termine della selezione anzi, forse qualche mia convinzione sul trend della ricerca contemporanea è perfino mutata. Una manifestazione del genere, in definitiva, non può che essere un’occasione di scambio e riflessione tra gli autori coinvolti, ma anche tra i colleghi curatori, ponendo in essere un ultimissimo lavoro di scouting rivolto agli autori giovani, o meno giovani, che non sono abbastanza valorizzati dai meccanismi tradizionali del sistema dell’arte.
Lo studioso che vuole avere uno sguardo attento sulla situazione della fotografia contemporanea, deve porsi una serie di interrogativi, senza prescindere da alcune problematiche storiche e culturali. Queste sono evidenti anche scorrendo in modo frettoloso e incompleto la storia della fotografia intesa come forma espressiva e culturale, ed in particolare prendendo come esempio alcuni accadimenti che hanno creato delle relazioni tra il giovane mezzo fotografico e la oramai adulta estetica artistica occidentale.
Gia nel titolo di questo testo, ammetto e preannuncio che la mia è una ricostruzione arbitraria ed incompleta, non ha affatto i crismi dell’excursus storico, ma si tratta semplicemente dell’esposizione di alcuni punti salienti, utili al mio modo di ragionare circa la fotografia.
Oltre un secolo e mezzo fa, in una rivista italiana, apparve un’articolo che, in termini vaghi, annuncia un nuovo modo di concepire l’arte. Nella gazzetta privilegiata di Milano, del 15 gennaio 1839(che riprendeva una notizia apparsa una settimana prima sul moniteur parisien), si scriveva:”… è una rivoluzione nell’arte del disegno (…) poichè mediante il processo in questione, la natura stessa verrà riprodotta in un batter d’occhio, senza la cooperazione della mano dell’uomo.”
In questo modo pressappochistico, e con poca consapevolezza, viene annunciata la nascita della fotografia. Già dalle poche parole dell’anonimo cronista si capisce che, da un lato vi è un clima culturale positivo e, dall’altro, è inevitabile che questo procedimento abbia subito una relazione con le arti in senso lato.
Nel corso della sua storia la fotografia ha avuto un rapporto peculiare con le arti visive, certamente fondato su scambi reciproci, ingerenze, ed una rivalità spesso esasperata in modo quasi grottesco da una critica militante.
Inevitabile pensare che uno dei motivi dell’affermazione iniziale della fotografia sia stato proprio la necessità di una corretta documentazione storica dei capolavori di pittura e scultura. La fotografia viene utilizzata dagli intellettuali che compiono il cosiddetto gran tour, ovvero i viaggi di esplorazione alla scoperta dei capolavori del nostro bel paese. Con il nuovo mezzo potevano immortalare i segni delle civiltà antiche della penisola, ma anche i capolavori della grande pittura italiana. Basti pensare al minuzioso lavoro fotografico di John Ruskin ed alla sua collezione di dagherrotipi eseguiti in gran numero anche a Venezia. Si crea un entusiasmo culturale in cui gli storici diventano una sorta di avventurieri.
Dopo questo periodo di sperimentazione, già sul finire dell’ottocento, si assiste ad una prima massificazione del mezzo. Grazie ad apparecchi sempre più semplici nell’utilizzo, vi è un allargamento della base di persone che possono fotografare, ma la qualità dei risultati, ovviamente, ne risente.
Proprio in questo periodo emerge il pittorialismo, un modo di concepire la fotografia che ha autori in vari paesi europei. Nello specifico, molti sono amateurs, ovvero persone non professioniste (non pensiamo però al termine odierno, non sono dei semplici dilettanti) che osano sperimentare, tramite trasgressioni rese possibili proprio dalla mancanza di fini commerciali. Per questi autori il filo rosso intellettuale, che li lega all’arte, è netto.
Essi vogliono tendere all’artisticità del mezzo, tentando di riprodurre a livello fotografico le suggestioni del dato pittorico. Nonostante molti eccessi (che portano a esiti sterili), ne scaturiscono anche lavori di una qualità assoluta.
Oggi potrebbe sembrare banale attestare il valore estetico del mezzo, ma non è sempre stato così.
Rivolgendo l’attenzione alle avanguardie, si potrebbe prendere ad esempio il manifesto del futurismo del 1909. Alcuni firmatari del documento, tra i quali Umberto Boccioni, furono scettici nei confronti del nuovo mezzo. Solo i più giovani fratelli Bragaglia non considerarono la foto come un mero mezzo, ma come una nuova e trasgressiva ipotesi linguistica.
Anche dopo il “caso” Bragaglia,vera meteora del panorama, nel nostro paese vi fu sempre il ritorno a tendenze piu “addomesticate”. Un contesto che, in seguito alla prima guerra mondiale, sarà dominato nelle arti visive dal cosiddetto ritorno all’ordine e nella fotografia vedrà la necessità di ritrovare una funzionalità. Questo segna la nascita di grandi autori del fotogiornalismo, ma allo stesso tempo allontana lo spirito dalla vera ricerca, mantenendoli estranei al dibattito culturale europeo e americano.
Senza contare che nel periodo successivo alla grande guerra e con la conseguente affermazione del regime totalitario fascista, l’espressione fotografica viene utilizzata per fini meramente propagandistici. In quegli anni va affermandosi uno dei grandi problemi della situazione italiana, ovvero si iniziano ad instaurare una serie di legami con la riproduzione di moda,l’architettura ed il design, che presenta aspetti positivi, ma anche fortemente deleteri. In particolare, è apprezzabile il fatto che l’azione del mezzo fotografico si estendeva verso più direzioni.
Il grande fraintendimento, tuttavia, deriva dal fatto che questi usi funzionali vengano scambiati per una ricerca dotata di un’estetica intrinseca e quindi, a torto, bollati come vera indagine culturale. Un notevole passo avanti nella presa di coscienza delle potenzialità espressive, andando oltre il lato empiristico della sperimentazione, viene dalla ricerca teorica degli anni successivi che produce un’approfondimento significativo sull’estetica, il senso filosofico, della fotografia.
Il dopoguerra in Italia è un crogiolo di iniziative, ma soprattutto di nuove diatribe; se in ambito pittorico vi è l’ideologica contrapposizione tra esigenze astratte e realismo, anche quello fotografico è lacerato, a causa di atteggiamenti che, in modo dogmatico (e frettoloso), intendono definite dalla storiografia le posizioni moderniste da un lato e neo realiste dall’altro.
Bisogna sottolineare che dagli anni sessanta e settanta in poi, anche grazie ad un’apertura del nostro paese alle esperienze internazionali, il dibattito s’intensifica e assume un maggior respiro. Alcune problematiche estetiche , prima sconosciute, vengono via via affrontate e si pongono così le basi per la ricerca odierna. Sintomatiche di ciò sono le modalità con le quali alcuni grandi autori si intèrroghino sul valore stesso della ricerca che compiono. Ugo Mulas realizza delle foto che hanno come tema la fotografia stessa, nell’intento di comprendere il valore intrinseco. Il tempo dei circoli e del mito della fotografia americana è ormai passato; va inoltre evidenziato che il mondo della fotografia diviene il mezzo espressivo per autori che non sono propriamente fotografi. Pensiamo, a titolo esemplificativo, ad alcuni artisti dell’arte povera come Giuseppe Panone, Michelangelo Pistoletto e Giulio Paolini, ma anche al romano Mario Schifano. Nascono e si sviluppano nuove relazioni tra il campo della ricerca artistica visiva in senso stretto e la fotografia, che porteranno, nei decenni successivi, all’affermazione di varie generazioni di fotografi oggi considerati i maestri del nostro tempo.
Un breve excursus storico, necessariamente incompleto, ma funzionale ad una riflessione su quelle che sono state le domande che hanno caratterizzato la ricerca fotografica.
Ancora oggi parte della critica Italiana parla della cosiddetta emancipazione della fotografia delle arti visive. Si vorrebbe sancirne un ruolo di totale autonomia rispetto alle altre espressioni. In una prospettiva storiografica, queste posizioni potevano apparire come fondate in altri momenti del dibattito. Oggi, in modo palese e consolidato, ma in realtà già dagli anni sessanta, l’arte vive un processo di intermedialità irreversibile. La distinzione del mezzo è un qualcosa di limitante per un autore, che certamente può avere una maggiore adesione ad un linguaggio, piuttosto che ad un altro, ma non è possibile decretare dei limiti all’espressione. Non volendo certo arrivare a dire che la fotografia diviene il diletto degli artisti in senso lato, ritengo di poter ribadire che il fotografo odierno, che persegue una ricerca di tipo artistico e non solo documentaristico o commerciale, debba necessariamente porsi numerosi interrogativi. In particolare, come per le altre espressioni, occorre avere una netta cognizione del proprio tempo. La fotografia è figlia di tutta una serie di istanze sociali che divengono imprescindibili, perchè rispecchiano un senso estetico dell’oggi. Non è possibile pensare ad una disciplina che agisca in modo distaccato dal suo contesto. Qualsiasi produzione della cultura del presente è inscindibilmente legata a fattori storici, sociali, filosofici, antropologici ed artistici, ai quali neanche la fotografia può sottrarsi.