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Tutto ciò che è visibile è attaccato all’invisibile,
l’udibile al non udibile, il sensibile al non sensibile.
Forse il pensabile all’impensabile.

Nel video Arrow.cur Alex Carosi decontestualizza uno degli “oggetti” più comuni dell’esperienza quotidiana: la freccia di windows. Sembrerebbe un ready-made virtuale, l’oggetto nella veste di un abituale che ritorna e si ripete nella sua disarmante semplicità. L’inquadratura è fissa , il campo di azione della freccia è limitato come quello di un desktop. Ma la percezione di ciò che appare ad un primo veloce sguardo potrebbe essere fuorviante. Nel video riconosciamo la parete esterna del rettorato su cui compare la freccia che, nel dislocamento dello schermo del pc alla realtà tangibile, ha subito un radicale cambiamento di statuto, L’icona di windows è convertita da strumento digitale in analogico. Esce dallo schermo, dalla rete per infilarsi nella realtà; si muove clandestina sulla parete, la esplora affidandosi al caso , all’imprevisto non contemplato dal sistema operativo, e attende che una finestra si apra, che accada qualcosa, qualunque essa sia. Il simbolo digitale per eccellenza è diventato specchio di una “realtà” lontana, la rappresentazione di un universo intangibile. Si tratta forse di una simulazione ludica? Ma alla simulazione si legano preoccupazioni diffuse in rapporto alla verità della comunicazione ( soprattutto di quella di massa ), alla sua attendibilità. Simulare significa imitare e riprodurre, ma significa anche mentire o persuadere i destinatari della comunicazione di significati oggettivamente inattendibili. Il mondo del digitale col suo linguaggio logico-formale offre terreno fertile all’ambiguità, alla confutazione della realtà con tutti i pericoli che ne derivano. Una preoccupazione che può assumere toni apocalittici, diventare profezia di un asservimento del naturale all’artificiale, di perdita delle gerarchie di significati e di dissoluzione dell’individuo in un Sampler self, un essere campionato. Alex Carosi sterza bruscamente e ci propone un lavoro in cui è minore lo scarto tra la realtà degli oggetti e il linguaggio visivo che la rappresenta ed è per questo che esclude anche la post produzione.